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Il respiro della locomotiva, ovvero il vecchio Ian non può essere fermato

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Periodo di trasferte ad un ritmo – per me – mai visto prima. Si parla di un viaggio alla settimana.

Attività che il vostro territoriale DJ Machete si era ben guardato dal contemplare prima di questi giorni.

Terni, Bologna, Firenze. Prossima settimana in programma Milano e Frosinone.  E insieme alle bellezze architettoniche e alle sfavillanti geometrie anatomiche di giovani e meno giovani di mezza Italia, sto godendo di un rapporto più stretto con le ferrovie italiane.

Questo, mi sono detto con tono definitivo, deve diventare materia per qualche puntata in radio.

E come accade con la maggior parte dei miei propositi, ho trovato cento e una buona motivazione per archiviare l’idea.

Dopotutto, mi sono detto, non sono che un viaggiatore occasionale. Che diritto ho di prendere l’argomento?

Fare lo scontento, quando qualcuno da anni sopporta con uno stoicismo esemplare?

O fare la parte (fintissima) del soddisfatto, alla faccia di tutto quello che fa acqua (metaforica e non) da tutte le parti?

Quindi il dibattito sulle angosce del viaggiar su rotaie attendono ancora, magari mi farò prendere da qualche furor e sproloquierò alla faccia della mia scarsa esperienza sull’argomento.

Ma non ho lasciato scappare l’occasione di parlare di treni in musica.

Ovviamente, il buon country, e tutti i suoi figlioli più o meno riconosciuti, dallo swamp blues al southern rock, hanno inciso un migliaio abbondante di canzoni con titoli e riferimenti al cavallo ferrato.

Ma anche al di fuori di questo fenomeno (che anno dopo anno apprezzo sempre di più) c’è qualche titolo che va citato.

E ovviamente trasmesso.

Come al solito, la mia ignoranza musicale è provvidenziale. Riprendo in mano i soliti tomi, mi tuffo a testa bassa tra youtube ed altro, e tiro fuori questo indimenticabile capolavoro dei Jethro Tull.

L’album di provenienza è la colonna Aqualung. Il bilico tra blues e progressive rock è nel suo momento più carismatico.

Ian Anderson soffre come un raccoglitore di cotone, il ritmo incalza, il treno parte e, come il testo suggerisce, il vecchio Charlie non può essere fermato.

In radio la trasmetto col sorriso sulle labbra, sono le 00.12 e chi mi segue fino a quell’ora trova una piacevole sorpresa negli altoparlanti.

Difficile restarne immuni, evito di sollevare il dibattito su chi sia questo Ol’ Charlie.

Chi ci vede il demonio (in Gran Bretagna questo è uno dei suoi soprannomi), chi Darwin (il treno che non può essere fermato) chi addirittura Dio. Il flauto suona, io non ci penso, nemmeno il mio ospite di giovedì sera, e probabilmente neppure il pubblico da casa.

Dio, che piacere mandare questa roba.

jethro tull